George Valentin è un divo del muto che interpreta film romantici ed avventurosi (sulla falsariga di un Rodolfo Valentino e/o Douglas Fairbanks), istrionico e osannato, ricco e potente. Alla prima di un suo film, dopo la proiezione, una giovane aspirante attrice presente tra il pubblico si fa immortalare dai fotografi mentre lo bacia. Finita sulle pagine di Variety comincerà la sua ascesa verso l’Olimpo hollywoodiano anche grazie alle simpatie del Valentin stesso.
Le carriere della giovane e del consacrato divo si incrociano in più occasioni e nel giro di pochi anni (causa del passaggio dal muto al sonoro a cui Valentin mal si adatta e della grande crisi del ’29) le parti si capovolgono: mentre l’attore passa di fallimento in fallimento fino a ritrovarsi povero e alcolizzato, Peppy Miller, l’attricetta, diventa diva dei primi film sonori e ricchissima.
Valentin dovrà lottare contro il proprio orgoglio per lasciarsi risollevare dall’amore della giovane Peppy rilanciandosi insieme a lei nei musical à la Ginger e Fred piuttosto che alla Gene Kelly/Cyd Charisse (‘Cantando sotto la pioggia’ ha per altro un’ambientazione simile nello stesso periodo di The Artist, periodo fondamentale per il cinema, la fine degli anni venti e, contemporaneamente, del cinema muto).
Hazanavicius è francese e (per questo?) cinefilo ed affronta la vicenda in modo nostalgico e postmoderno esprimendosi con le modalità del cinema degli anni ’20. The Artist è infatti un film in bianco e nero muto, con tanto di didascalie per i dialoghi.
L’operazione non è fine a se stessa. Proposta negli anni del 3D ripresenta un’estetica demodé (ma quanto più affascinante) in un periodo cruciale di rinnovamento tecnologico (quello degli anni 1929-1930) e di crisi economica quasi speculare a quello odierno. Se il 3D avesse successo pari a quello dell’avvento del sonoro (ma più che il 3D sono gli effetti digitali a rappresentare il vero rinnovamento degli ultimi anni) gli attori andrebbero incontro ad un tracollo ancora peggiore di quello di allora rischiando addirittura di scomparire o di restare “dietro le quinte” (vedi il ‘Tin Tin’ di Spielberg o ‘Avatar’ dove l’umano è rimodificato dal computer).
In realtà il discorso tecnologico, storico e cinefilo è presente ma non certo preponderante nel film che resta oggetto godibile e di facile fruizione. Hazanavicius assecondato dagli ottimi Jean Dujardin e Berenice Bejo (già protagonisti dei precedenti film del regista, due parodie degli 007 movies, successi in Francia ma non esportati in Italia) e dai comprimari del cinema hollywoodiano (figure non certo di secondo piano come John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller e, dulcis in fundo, Malcom McDowell).
Il film presenta trovate geniali degne di un Tati o di un Chaplin (la scena dell’infatuazione tra George e Peppy ben congeniata durante i ripetuti ciak della stessa scena del film che stanno girando; il gioco di parole durante un litigio con la moglie in cui questa gli urla, in didascalia, perché non parli? dove il problema del parlato diventa problema di comunicazione coniugale; la scena da mimo di Penny che gioca con la giacca di lui come se fosse un ballo di coppia), altre da teoria del cinema sfiorando quasi l’avanguardia (il bellissimo sogno in cui Valentin sente gli oggetti far rumore mentre lui resta senza voce giocando sul fatto, irreale, che sul set di un cinema muto tutto debba essere senza rumore) ed infine quella fortemente cinefila dello svelamento degli oggetti appartenuti a Valentin prima del fallimento e comprati all’asta da Peppy che potrebbe degnamente appartenere, come potenza drammatico-evocativa, a Viale del tramonto del grande Wilder.
Non tutto è pienamente riuscito nel film (non stiamo parlando di un capolavoro ma di un intelligente divertissement) e sia la musica che asseconda eccessivamente il melodramma sia le troppe scenette in cui è protagonista il cagnetto Uggie atte a compiacere la platea assieme ad altre trovate troppo facili (la foto del film autoprodotto da Valentin che finisce sotto i piedi dei passanti, i protagonisti del film che tornano sul bancone del bar ad apostrofare il nostro in effige tridimensionale…) hanno come risultato il semplificare eccessivamente l’assunto.
Come fare product placement in un film ambientato negli anni ’20? O si utilizzano auto d’epoca ma di case costruttrici attualmente ancora esistenti, oppure bottiglie di whisky di secolare tradizione o, come nel film, si usano accorgimenti molto più semplici ed efficaci: si prende una scena clou della pellicola, ad esempio quella in cui viene sfogliato il VARIETY che riporta in prima pagina “Who’s this girl?” con la foto del bacio di Peppy a George, e mentre il giornale è aperto si mette in evidenza l’ultima pagina di questo che riporta un enorme pubblicità d’epoca della COCA COLA, il gioco è fatto!