Si è parlato tanto di maternità nei film di questo Torino Film Festival edizione 42 voluto così dal direttore artistico Giulio Base, con Vena della tedesca Chiara Fleischhacker abbiamo della maternità una rappresentazione grafica, nel senso che qui il parto è filmato in ogni suo dettaglio. Ma per arrivare a questo bisogna raccontare della madre, Maria (un’intensa Friederike Becht) incinta della seconda figlia, irresponsabile perché assume droghe e fumo, e in attesa di andare in prigione. Alla perenne ricerca di una libertà e indipendenza personale che assomiglia più ad un’esclusione al rapporto con gli altri (non l’aiuta la dipendenza tossica e la dabbenaggine del compagno) per partito preso. Quando incontra un’ostetrica che ne capisce e condivide i problemi, comincia a cambiare atteggiamento e a scegliere di disintossicarsi. Purtroppo questo cambiamento positivo si dovrà scontrare con le istituzioni (e siamo in Germania!) che non danno assistenza e non capiscono che il caso di Maria non è così disperato da sottovalutarlo perché può portare ad un reale cambiamento. Se da una parte si fa la paternale alla ragazza “perduta”, dall’altro non le si vuol dare neppure una seconda possibilità. Un film ruvido e tenero allo stesso tempo, problematico e polemico. (voto 6,5).
Uno dei migliori film del concorso del Torino Film Festival 42 è Madame Ida film danese dell’esordiente nel lungometraggio Jacob Moller. Ambientato negli anni ’50 del Novecento vede una ragazza quindicenne che all’interno di un orfanatrofio resta incinta (non si sa bene da chi e quanto consenzientemente…) e il bambino viene promesso in affidamento alla nobile artista decaduta Madame Ida. Così la giovane si reca nella villa della signora in attesa di partorire per poi tornare all’istituto. Ida risiede sola in una grande casa con la vecchia governante ed è una donna che vive nel passato e vuole la nascitura con sé per far credere ai vecchi amici di averla partorita. All’inizio il rapporto tra le tre è di diffidenza ma poi si crea un’atmosfera piacevole di gioco ed intimità. Fino alla nascita della piccola Olivia, allora le cose cambiano drasticamente… Il regista utilizza il linguaggio contemplativo del piano sequenza, dei silenzi (si sentono ronzare le mosche) con una certa inventiva (ricerca di angoli non consueti, carrelli inusuali) e una bellissima fotografia. Il film riesce così a non essere accademico ma a dare una rappresentazione carnale, intensa e senza pietà dei rapporti umani, della solitudine e dell’emarginazione. (voto 7,5)
Ultimo film della nostra maratona al Torino Film Festival 42 è The rule of Jenny Pen, una specie di horror ambientato all’interno di un ospizio in cui si inscena la sfida, sia attoriale che dei personaggi interpretati, di due grandi marpioni dello schermo, Geoffrey Rush e John Lithgow. Il primo è un giudice implacabile (lo vediamo all’inizio impietoso nei confronti di un padre violento, ma anche della madre che non ha difeso i figli) che è colpito da ictus e costretto su una sedia a rotelle. Il secondo è un matto pericoloso che si aggira da anni all’interno dell’ospizio con un pupazzo nella mano (tipo ventriloquo) che chiama Jenny Pen. Con questo terrorizza gli altri ospiti ed entra in contrasto proprio con il giudice fino a fargli cambiare prospettiva su crimine e giustizia. Il regista inscena la sfida cruenta non utilizzando gli ovvi meccanismi horror (jump scares, musica inquietante, trucchi spaventosi ecc.) ma crea un’atmosfera da incubo utilizzando inquadrature sbilenche, altre rovesciate, zoomate “espressive” e cambiamenti di focale. Non male (6+)