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CINEMA
27 Novembre 2024 - 23:27

TORINO FILM FESTIVAL 2024

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Giorno 6
TORINO FILM FESTIVAL 2024

Favela di Rio, posto in cui la povertà è mal comune, dove i servizi sociali sono nulli e dove per girare alla notte c’è bisogno del permesso della mafia locale. Qui tre amici si aiutano a vicenda per accudire la vecchia nonna di uno di loro, De’. Quest’ultima, malata di Alzheimer ,è praticamente un vegetale appoggiato su una sedia a rotelle e ha bisogno di assistenza continua. I tre cercano comunque di avere una vita, sentimentale, sessuale e magari sperando di diventare come l’amico rapper L7nnon (che partecipa al film in persona) per togliersi dalla favela. Per ora pensano alle ragazze, agli amori perduti, ai sogni e a raccattare i soldi per pagare l’affitto e le medicine per la vecchia nonna. Kasa branca (il titolo si riferisce al nome dato alla casa in cui vive De’ e dove l’anziana padrona di casa, soprannominata “la strega di Witch”, arriva regolarmente a cercare i soldi dell’affitto) di Luciano Vidigal, in concorso al Torino Film Festival 42, è una commedia dolceamara che mostra la vita di quartiere senza troppo pessimismo o tragedia, ma con una malinconica speranza di sopravvivenza senza far mancare musica, ballo, sensualità e senso di appartenenza. (Voto 6,5). Non so se esista realmente la drogaria Jacobal, ma se come penso sì, è sicuramente il product placement principale del film che vive di citazioni di Instagram e Mercedes nelle canzoni di L7nnon. Apparizione anche di una fotocopiatrice Xerox.

E rieccola a Torino la “pierina” del cinema italiano. Eleonora Danco, artista visiva e autrice teatrale che, come il corrispettivo maschile Antonio Rezza (non so se i due apprezzino il paragone), si cimenta nel cinema fregandosene della narrazione e mischiando performance a interviste, girate per le strade di Roma, le più varie (vite marginali, esperienze sessuali, prospettive di vita; domande che non sembrano programmate ma scelte al momento). Come già nel precedente (ormai di 10 anni fa, come passa il tempo…) N-capace, la regista volutamente ci restituisce un’opera sconclusionata intitolata n-Ego in cui l’ironia si unisce alla vita vissuta, la poesia all’estemporaneità. Partecipano in amicizia in due parti quasi surreali Filippo Timi e Elio Germano. Mi perdoni la coraggiosa autrice ma avevo preferito la freschezza impertinente del primo a questo secondo che ne è praticamente una riproposizione artistica. (voto 6-)

Quando le buone intenzioni finiscono clamorosamente in un fallimento creativo. Julie Delpy, che da regista non ha certo mai brillato particolarmente, affronta una commedia “politica”, Les barbares, scelta fuori concorso del Torino Film Festival 42, partendo da un buon spunto (un piccolo paese bretone è felice di accogliere profughi ucraini dopo lo scoppio della guerra, anche il “facho” del luogo dà il suo consenso, ma ad arrivare è una famiglia siriana, degli arabi!) ma con un’evoluzione che fa rimpiangere cosine tipo Benvenuti al Sud che almeno qualche risata la strappavano. Il principale difetto del film (come molti che vogliono illustrare l’attualità) è quello di volerci metter dentro di tutto, dal comunista no-vax (chissà perché le due cose debbano andare insieme…), i danni del covid, la condizione femminile, i politici inetti, i filonazisti, l’ecologia… senza concentrarsi sul core del plot, i rifugiati e i loro problemi di integrazione perché rifiutati dalla popolazione locale. In realtà qualche momento buono c’è, la rappresentazione dell’odio e dell’ottusità di chi crede a mistificazioni razziste in alcuni passaggi si sente e fa male, ma in generale il tutto scade in situazioni da commedia che non fanno ridere, banalità sentimentali, situazioni trite e ritrite ed un finale da tarallucci e vino che veramente non fa bene alla causa. Poi può darsi che il film ottenga successo e il portare la problematica ad un vasto pubblico possa essere un bene, ma sull’argomento se si vuol vedere una commedia intelligente bisogna recuperare il Ken Loach di The old oak, mentre se si vuol restare seri e problematici e vedere dell’ottimo cinema, andare a noleggiare quel mezzo capolavoro di Green Border. (voto 5-) La presenza contemporanea di Mac Apple e Acer ci fa dubitare della scelta di product placement, mentre Samsung, Adidas e la citazione di Uber meno.

Ancora maternità come argomento nel film di produzione inglese ma diretto dal francese Fleur Fortuné, The assessment, fuori concorso al Torino Film Festival 42. E’ una maternità negata in questo caso, negata nella società del futuro in un non ben definito Nuovo Mondo che ha sostituito il Vecchio Mondo (la nostra terra attuale), distrutto dall’attività umana. Ora esiste ancora ma per confinarvi i criminali e i dissidenti. Nel Nuovo Mondo invece si prende una sostanza che ti permette di non invecchiare mai. Però per mantenere equilibrio tra l’umanità che per questo si moltiplicherebbe, la maternità è vietata e viene concessa solo dopo una settimana a contatto un valutatore che, nel caso della coppia di scienziati protagonisti del film che la richiede, è una donna (Alicia Vikander). La valutazione consiste nel mettere in condizioni di stress la coppia e di simulare, da parte del valutatore, i comportamenti del nuovo nato e vedere come i possibili genitori reagiranno a tali comportamenti. Questo crea un intreccio di relazioni ambiguo a cui segue l’invito, obbligatorio per i test, a cena di persone appartenenti al passato dei due protagonisti… Film su un futuro distopico in cui il benessere “artificiale” azzera l’umanità e limita il contatto interpersonale fino ad arrivare a porsi il dilemma se era meglio continuare a vivere nel disastrato Vecchio Mondo con pochi anni di vita davanti o se in questa nuova società asettica e artificiale. Niente di originale (sia nella letteratura che nel cinema questo interrogarsi su un futuro “perfetto” è stato posto innumerevoli volte) ma il film è girato professionalmente con una buona tensione, buona fotografia e buoni interpreti. (voto 6+)

Miracoli e Napoli. Connubio perenne che ritroviamo anche nel film d’esordio da regista dell’attore Giovanni Esposito, Nero, visto nella sezione Zibaldone del Torino Film Festival. Il protagonista, chiamato appunto Nero (lo stesso Giovanni Esposito) è un delinquentello di periferia (“Le periferie delle periferie sono un continente a parte dove convivono tutti i continenti, dove le regole naturali sono spesso riscritte. In questi non-luoghi, il rispetto dei confini è individuale e il concetto di individualità è un Dio da rispettare, costi quel che costi” dichiara il regista sul catalogo del Torino Film Festival) con a carico una sorella disabile. Dopo una rapina in cui uccide un uomo per errore, scopre di avere un dono, ovvero di poter guarire o addirittura riportare alla vita le persone toccandole, come Christian nella serie televisiva omonima. Però c’è un problema, ogni volta che il nostro impone le mani miracolose perde uno dei sensi. Prima il tatto, poi il fiuto e il gusto. Restano i due fondamentali, l’udito e la vista… come preservarli quando ormai la notizia si è sparsa e tutti vogliono il guaritore per un miracolo? Apprezzabile lo sforzo di Esposito di dare uno spaccato realistico del paesaggio extraurbano campano, dove immigrati e poveracci si barcamenano, anche dovendo guardarsi dalla “dittatura” della camorra, ma la storiella è veramente minimale, da commedia all’italiana ma senza personaggi forti, nemmeno quello del protagonista. (voto 5,5) Mercedes, scooter Liberty e Mister Risparmio il product placement del film.

Stefano Barbacini

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