E rieccoci al Torino Film Festival edizione 34 del 2016.
E rieccoci in apertura ad assistere alla proiezione dell’ennesima opera di Sion Sono, fedelissimo del festival che lo ha già omaggiato di una personale nel 2011.
La protagonista distesa sul letto completamente nuda ci accoglie al risveglio. Si tratta di un’artista visiva, pittrice e fashion, in attesa dell’arrivo della sua assistente personale. Questa arriva dopo che la nostra ci ha manifestato inquietudine e malessere vomitando e dicendoci della sua condizione di infelicità e di puttana. L’assistente arriva e le presenta l’agenda di giornata che prevede interviste con la rivista CELINE e con il NEW YORK TIMES (soli product placement presenti nel film) e sessioni fotografiche. Inizia poi un rapporto sadomaso tra le due dove l’artista domina l’assistente umiliandola e facendola violentare con uno strap-on.
Poi la svolta metacinematografica. La sessione sadomaso si svela essere un set in cui l’attrice che fa l’assistente comincia ad insultare l’attrice protagonista capovolgendo i ruoli di dominante e dominata. Ma non finisce qui perché da questo punto il film diventa una vera e propria seduta psicologica in cui non si capisce più cosa è reale e cosa solo nella mente della protagonista ed è arduo anche capire se siamo di fronte ad un’artista d’arte moderna che vorrebbe essere un’attrice porno o viceversa. Quello che sembra assodato è che tutti i problemi di instabilità mentale della protagonista derivano dalla propria famiglia che in flashback Sono ci mostra grottescamente in bilico tra sesso perverso e colpa.
Al di là di una trama freudiana e pseudofemminista (la libertà della donna è forse quella di utilizzare il proprio corpo per far soldi in un mondo comunque maschilista?) piuttosto ritrita, Sono si scatena in un delirio visivo fatto di colori, carne, immaginario fetish che rende il film in bilico tra la performance artistica e la visionarietà onirica. La sua migliore dal post-tsunami ad oggi.