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CINEMA
24 Novembre 2024 - 01:32

TORINO FILM FESTIVAL 2024

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Giorno 2
TORINO FILM FESTIVAL 2024

Ormai un film di Radu Jude è uno di quei film che si aspettano con ansia. Dopo il capolavoro visto lo scorso anno al Torino Film Festival (e finalmente uscito in Italia) Do not expect too much from the end of the world, in questa edizione 42 ci viene mostrato un film collage, montato insieme a Christian Ferencz-Flatz, Eight postcards from Utopia, che in otto capitoli mette insieme immagini da spot pubblicitari rumeni che ci danno uno spaccato della società di questa nazione negli anni, partendo dagli albori dei Daci e dei Romani loro avi, passando per la dittatura di Ceausescu e per il periodo comunista, fino all’odierna società dei consumi con aspirazioni di modernità mirando all’Italia (!?), all’Olanda e alla Germania come ideali di progresso per una società corrotta e che sopravvive di espedienti al di là delle regole. Se la maggior parte del film non è altro che una puntata lunga di Blob, vi è invece un capitolo, quello denominato Anatomia del consumo che montando immagini di come si utilizzi il corpo per vendere (le bocche per i sapori, il naso per i profumi, le mani per il tatto, le gambe e i muscoli per l’erotismo femminile e maschile, culi e seni per i doppi sensi sessuali) raggiunge un livello artistico e comunicativo notevole. (voto 6) Naturalmente le decine di marche rappresentate fanno parte degli spot e contemporaneamente diventano product placement… non retribuito.

Giornata, questa seconda, in cui fanno capolino anche film di genere. Mentre de Il corpo, remake, a tratti imbarazzante, del noir spagnolo El cuerpo del 2012 dirò a parte (voto 5), Nina della regista spagnola Andrea Jaurrieta mischia melodramma e thriller (con ascendenze da Almodovar di cui è stata in passato assistente, ah quell’eroina furiosa con vestito rosso, occhiali da sole e doppietta tra le mani…). La protagonista torna da Madrid, dove è diventata attrice di fama, al paese di provincia da cui, non ancora sedicenne, è scappata. Qui vuole fare i conti con il proprio passato che piano a piano viene alla luce grazie all’incontro con amici d’infanzia e a flashback che ricordano cosa successe. In pratica la ragazzina si era fatta irretire da uno scrittore marpione ben più grande di lei con tendenze pedofile… Il fim è girato con una colonna sonora che guarda decisamente al cinema hollywoodiano anni ’50 e questa doppia anima dell’opera della Jaurrieta, cinema di quella stagione e influenze almodovariane, sono ben evidenziate dai due film proiettati al cinema del paese, Johnny Guitar e Ay, Carmela! (voto 6+). Auto Mitsubishi, abbigliamento Alpine e la birra spagnola La Salve nel product placement del film.

Sempre miscela di generi anche nel film indonesiano Crocodile tears dell’esordiente Tumpal Tampubolon in cui si narra di una madre che con il figlio gestisce un parco di attrazioni di coccodrilli. La donna ha un rapporto con forti derive edipiche con il figlio e si narra che abbia dato in pasto all’enorme coccodrillo bianco il marito. Quando Johan, il figlio, incontra Arumi, una ragazza che lavora in un karaoke bar (il corrispettivo asiatico della “ragazza da night”) e se ne innamora corrisposto, lo strano menage tra Johan e la madre viene compromesso e Arumi quando sente la madre dell’amato definire il coccodrillo bianco come “il tuo papà” capisce che c’è qualcosa che non va… Nei momenti migliori il film ricorda il cinema del compianto Kim Ki-duk e non si abbandona mai alla spettacolarità scontata della maggior parte degli horror indonesiani mantendo sempre un’atmosfera interessante. (voto 6,5).

Cinema politico invece si trova nel film in concorso di produzione polacca della regista di origini bielorusse Mara Tamkovich, Under the grey sky incentrato sulla riproduzione di un fatto realmente accaduto. Nel 2020 a seguito delle elezioni “truffa” dell’autoritario Lukashenko, in Bielorussia vi sono state manifestazioni di protesta fermate con la violenza dalla polizia. Una coraggiosa giornalista indipendente ha filmato tutto e lo ha mandato in diretta. Catturata dalla polizia è stata incarcerata e condannata prima per sedizione, poi per alto tradimento perché si è rifiutata di firmare un documento in cui si denunciava colpevole degli atti. Seguiamo con la rabbia che ci monta in petto (come sempre quando assistiamo ai crimini di poteri dittatoriali e liberticidi) alla vicenda vissuta da lei e dal compagno che cerca di riportarla alla propria vita che le è stata sottratta con la cattività. (voto 7)

Seppur in alcuni momenti non sappia evitare il melenso appiattimento dei sentimenti tipico del cinema mainstream americano, My dead friend Zoe di Kyle Haussmann-Stokes è un film interessante, sostenuto da due ottime interpreti femminili e da due icone del cinema americano Ed Harris e Morgan Freeman. Il regista è un veterano di guerra cofondatore di Veterans in Media & Entertainment, organizzazione no-profit che si occupa di produrre film e video per parlare dei traumi del post-guerra. Proprio di questi traumi (che in America portano al suicidio di migliaia di reduci, più morti di quelli in guerra) soffre una veterana dell’Afghanistan che non riesce a liberarsi della presenza di un’amica “fantasma” che sappiamo morta (e lungo il film capiremo perché) causa, con la sua “presenza”, dei problemi psicologici e di rapporti interpersonali che la assillano. Rifiuta l’aiuto delle sedute di recupero psicologico condotte da Morgan Freeman, torna (costretta dalla madre) a vivere con il nonno (Ed Harris, anche il suo personaggio è un reduce ma del Vietnam e sta per entrare nell’oscurità dell’Alzheimer) e fa fatica ad avere legami sentimentali con un ragazzo che le piace. La seguiremo attraverso questo percorso di ritorno ad una vita “normale” che, inevitabilmente, deve portare alla sparizione della presenza dell’amica… immaginaria e defunta. (voto 6,5) Product placemente: scarpe Hoka, Ipod e Mac per la Apple, Ford.

Il film più “strano” del giorno è sicuramente Europa centrale, film in concorso dell’esordiente nel lungometraggio Gianluca Minucci. Ambientato negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale e girato tutto all’interno di un treno che da Parigi, passando da Torino, deve arrivare a Lubiana. A bordo del treno vi troviamo comunisti in fuga, fascisti, spie, doppiogiochisti, chi nel tentativo di fuggire verso la Russia, chi per impedirglielo e chi per recuperare alcune lettere. Ma la “stranezza” del film non è nella storia, anche piuttosto intrigante, ma nella scelta registica di proporci una recitazione sudata (letteralmente, tutti sudano copiosamente e hanno pelli appiccicaticce), irreale, sopra le righe e artefatta. Non si trattiene nell’affrontare il grottesco e nel proporre il kitsch, tutto è eccessivo e a tratti pulp ma in tutto ciò non c’è nulla da ridere, l’argomento è serissimo ma trattato in maniera volutamente strampalata. Un film che si fa fatica a valutare e che può sconcertare ma che non è certo ordinario…(voto 5/7)

Stefano Barbacini

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