Fare il punto sulla propria esistenza soprattutto al momento in cui ci si rende conto dell’impossibilità di arrestare il tempo che avanza e recuperare il passato, è di tutti gli esseri umani ma per un artista è tentazione fortissima quella di utilizzare la propria arte per esplicarlo e semmai cercarvi una catarsi.
Anche Pedro Almodovar non vi ha resistito e ci licenzia questa opera vera summa di un’esistenza che non contiene censure di fronte alla propria omosessualità e alla propria dipendenza dalle droghe. Ma neppure ha vergogna (e perché dovrebbe averne…) a mettere in piazza le proprie debolezze e i propri rimpianti.
La struttura del film non ha nulla a che fare con lo stile cinematografico a cui il regista ci ha abituati (tranne per le punte melodrammatiche e alcune sequenze visivamente pop): nessun eccesso, nessuna ironia. E’ una struttura molto semplice con tante madeleine proustiane solitamente agite tramite un evento artistico, vuoi un disegno, una frase letteraria oppure un testo teatrale, che aprono i ricordi (e quindi i flashback) di quando era bambino, dei suoi amori e dell’amata madre morente. Quindi un rimpallarsi tra tempo odierno e flashback. Tutto molto ordinato, forse troppo.
E’ un film comunque poroso, che non trattiene sentimenti, lacrime e dolore ma li riversa “naturalmente” fuori dallo schermo senza gli eccessi che ci aspetteremmo dall’autore spagnolo.
Un film sincero e intimo come non ci aspetteremmo da chi ha attraversato la fine del franchismo e il clamoroso periodo dell’underground spagnolo di cui non ci viene mostrato nulla. Solo citato di sfuggita. Così come la sua attività di regista che si fa metacinematografica per l’interposta persona del suo alter ego Banderas ma mai diretta.
E’ un autobiografia più “morettiana” che non “felliniana”.
In verità sullo schermo viene proiettata la malinconia del tempo passato, il dolore delle perdite, le frustrazioni delle occasioni perdute, le tristezze degli amori finiti, i terribili ricordi così dolorosi anche se belli proprio perché irrecuperabili. Sullo schermo viene proiettata la vita di una qualsiasi persona comune che in questo caso è un po’ meno “comune” della media ma che alla fine restituisce valori e sentimenti universali.
Product placement limitato alla Lacoste del protagonista e alla grossa mela del MAC.