Costretti in casa da questo stramaledetto virus in periodo di festival che vengono uno ad uno spostati in avanti non ci resta che la tv e lo streaming. Approfittando di una lodevole iniziativa di Mymovies in collaborazione con CG Video, Fare East Festival e Torino underground, cioè di mettere a disposizione titoli passati a questi festival gratuitamente, ci facciamo un nostro festival casalingo. Ieri si è cominciato con Burning di Lee Chang-dong e per una settimana da domenica sera avremo un “double bill” con in prima serata un film dall’Asia e in seconda un film “underground”.
Burning è l’anti-Parasite, ovvero l’altro grande film coreano dello scorso anno. Dove il film di Bong è pieno di avvenimenti, twist, ironia e significati espliciti, il film di Lee è minimalista, misterioso e con significati sotterranei. Due modi di affrontare il cinema entrambi efficaci (almeno per la critica, per il grande pubblico sicuramente il primo è adatto il secondo fa fatica…).
C’è un corto racconto di Murakami che viene “allungato” in un film di due ore e mezza in cui un giovane aspirante scrittore con radici provinciali si ritrova a Seul dove sopravvive con qualche lavoretto fino a che non incontra una coetanea che dice di provenire dallo stesso suo paese ma di cui lui non ricorda nulla. Fanno sesso e lui si innamora. Lei se ne va in Kenya perché affamata di conoscenza e quando torna si ripresenta al giovane con un altro ragazzo, Ben, ricco e misterioso (“sembra il grande Gatsby” si dice ma in realtà a noi ricorda più l’american psycho Patrick Bateman…). Tra i due nasce un odio misto a curiosità e i due si confessano a vicenda, il primo ha problemi con un padre violento e una madre assente, l’altro ha lo strano “hobby” di bruciare serre… Casi psichiatrici in mezzo ai quali resta la bella e vivace, libera e insoddisfatta Hae-mi. Proprio quest’ultima ad un certo punto scompare e il film si ammanta di incertezze e misteri e resta volutamente irrisolto fino al dramma finale. Ben è un omicida? Hae-mi come il suo gatto non esiste ed è solo una proiezione dei due uomini? Ben brucia veramente serre o fa altro? Non si sa.
I temi che soggiacciono sotto uno sviluppo lento e meditativo con pochi avvenimenti mostrati sono tanti, la divisione delle due Coree ferita aperta perennemente nel subconscio coreano (la casa del protagonista è posta al confine con la Corea del Nord da cui provengono i costanti slogan del potere alla popolazione), la differenza tra ricchi e poveri ma anche tra provincia e città nello sfrenato capitalismo della Corea del sud (e questo è tema che accomuna Burning a Parasite), la frustrazione del giovane che non riesce a raggiungere i propri obiettivi, la noia e l’insoddisfazione del ricco che non trova lenimento nei beni materiali.
E’ però soprattutto un film tutto a favore della donna. Hae-mi è l’unica dei tre ad avere la “fame grande”, come dice lei, ovvero la voglia di conoscere, di espandersi nell’universo. I due ragazzi hanno una “fame piccola” quella cioè di soddisfare i loro bisogni primari, sesso, fama, ricchezza… punto. C’è una sequenza chiave nel film quella in cui i tre si ritrovano nella casa di campagna dell’aspirante scrittore. Lei trova nella natura, nella danza e nella nudità la sua libertà, la sua capacità di essere onnicomprensiva. I due uomini invece sono ancorati alle loro pene, alle loro frustrazioni. Il primo confessa il suo amore ma non è in grado di capire l’innocenza del gesto di denudarsi da parte di Hae-mi e le dà della puttana, il secondo la tratta con superiorità deridendola. Piccoli uomini ottusi.
Il film è sicuramente importante, uno di quei film che di crescono dentro dopo la visione, e scorrendo le varie recensioni sul web ci si accorge che vi è un’unanimità di giudizio. Però tutti i recensori in generale danno sfoggio delle loro conoscenze letterarie e impostano la critica quasi esclusivamente sui riferimenti letterari del regista (Murakami, Faulkner, Carver) e ciò fa pensare. Burning è un film non un’opera letteraria. E’ forse questa l’unica piccola debolezza di questo comunque bellissimo film, la sua eccessiva ridondanza letteraria. Il suo debito con la pagina scritta più che non la sua ricerca visiva che contiene si alcune chicche poetiche ma non la grandezza dei visionari (stesso problema che si riscontrava nel pluriosannato Poetry). Polanski, Weir, Altman? Potrebbero essere questi i riferimenti cinematografici da citare. Oppure Tsai Ming-liang per restare in Asia (ma Lee non ha la densità della sua rarefazione sperimentale), Tarkovsky (ma non ne ha la potenza visiva), Bergman (ma non ne ha la capacità di lacerazione psicologica trasposta in immagini), il primo Wenders (ma non ne ha la cinefilia scopica), forse Antonioni (ma in tono decisamente minore). Sono solo piccoli esempi nella vastità del panorama cinematografico in cui Lee si colloca sicuramente in posizione autoriale importante ma non devastante.
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