Una ragazzina di quattordici anni affascinata da un carismatico uomo diventa succube di quest’ultimo che la costringe in un angolo, ne toglie l’indipendenza, la tradisce e ha anche scatti violenti contro di lei. Una storia che purtroppo leggiamo spesso sulle pagine di cronaca e questo parallelo non deve essere stato ignorato da Sofia Coppola quando ha deciso di portare sullo schermo l’autobiografia di Priscilla Presley con la consulenza di Priscilla stessa. Infatti qui stiamo parlando di quello che è successo alla giovanissima Priscilla quando ha incontrato il già famoso Elvis Presley, mentre era nell’esercito in Germania (dove anche il padre di lei si trovava essendo un ufficiale).
Elvis l’affascina, lei si sente “importante” per essere la ragazza del divo per eccellenza, lui la plasma come vuole, le dice come deve pettinarsi, come deve vestirsi e le dà affetto solo a parole. Poi la “rinchiude” a Dreamland e la tradisce con Anita Ekberg e Ann Margret (e probabilmente decine di altre) sui set e quando torna a trovarla non fa l’amore con lei. Lei smania, gli dice che ha bisogno di affetto. Lui le urla contro, minaccia di cacciarla (ma non lo fa perché dietro alla violenza umorale dell’uomo – degli uomini? – c’è comunque qualcosa che assomiglia all’affetto e all’amore) ma poi la sposa. La mette incinta e ricomincia a trascurarla e a “dominarla” finché lei non ne può più.
Non c’è niente nel film della successiva carriera di donna dello spettacolo di Priscilla, ma c’è anche poco di quella di Elvis (nel film c’è molta musica ma quasi nulla di quella di “The king”), per questo più che una biografia la storia narrata diventa esemplare per raccontarne altre, per racchiudervi un mondo di prevaricazione maschile nella nostra società. Lo stesso meccanismo che usava efficacemente e in modo narrativamente coinvolgente in Marie Antoinette. Replica anche il suo modo di entrare nell’animo dello spettatore piano piano. Inizia con un modo tradizionale di svolgere la trama, sembra un normale biopic, poi poco per volta ne avvolge i personaggi, entra nella psicologia della protagonista partendo da dettagli estetici ed “esterni”, crea una bolla magmatica attorno alla fresca interpretazione di Cailee Spaney (un po’ Jane Birkin, un po’ Brigitte Bardot quando erano ancora ragazzine provocanti). L’unico appunto che si può fare è che il suo stile sta diventando un po’ maniera e la brava regista avrebbe bisogno di dare una sferzata verso altre direzioni espressive in futuro. (voto 6+)
Le bibite della Coca Cola, la Cadillac, la San Miguel e Chanel nel product placement del film.