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CINEMA
19 Ottobre 2024 - 09:12

DIARIO VISIVO (Genere italiano)

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Sette volte sette; Anche se volessi lavorare, che faccio; John il bastardo
DIARIO VISIVO (Genere italiano)

Negli anni sessanta del novecento in Italia andava di moda, tra i tanti film di genere in cui era ramificata la produzione cinematografica, l’heist movie in forma di commedia (naturalmente I soliti ignoti aveva aperto questa porta). Michele Lupo con la produzione di Marco Vicario ne fornisce un buon esempio con Sette volte sette (1969) in cui un gruppo di carcerati, tra cui un Raimondo Vianello in versione “quasi serio”, Gordon Mitchell quasi muto e truce masticatore di chewingum, e, soprattutto, un sempre perfetto Gastone Moschin, inscenano una protesta per poter causare la giusta confusione da permettere di portare a compimento un loro complicato piano. In pratica, con la complicità dell’infermiere falso laureato Turi Ferro, i nostri scappano dalla prigione attraverso le fogne, vanno a rubare in una cartiera della carta filigrana, stampano milioni di sterline e ritornano in prigione (quale migliore alibi l’essere costretti tra le sbarre?). Il tutto nell’incredibile tempo di 90 minuti più intervallo, quelli della durata della partita, finale di coppa inglese Everton-Sheffield United (probabilmente quella del 1966 e finita 3-2 per l’Everton ma qui pareggiata al 90° per permettere ai nostri… tempi supplementari) in modo che, visto che tutti, carcerati e secondini, sono davanti agli schermi, la loro fuga non sia notata. Tutto sembra andar bene se non si infiltrasse tra di loro l’invadente e insopportabile Lionel Stander come elemento disturbatore e granello che fa inceppare i meccanismi. Il film è divertente anche se presenta il problema comune di molti di questi film (ricordo ad esempio anche alcuni di Albertini) ovvero l’interruzione del ritmo a causa dello svolgimento complicatissimo e mostrato nei dettagli del piano elaborato. Vi sono anche intermezzi più propriamente comici che sbilanciano verso il ridanciano quello che era commedia gustosa e “british” come per altro l’ambientazione del film (il carcere, in realtà in Germania, è nella trama un carcere inglese). Cameo erotico di Erika Blanc in splendida forma. (voto 6) Immancabile J&B product placement “di sfuggita” e poi macchinoni, Rolls Royce e citazioni di Maserati e Ferrari.

Altra rapina svolta-vita è organizzata dai quattro tombaroli “burini” che sopravvivono mercanteggiando pezzi etruschi (veri o falsi) in Anche se volessi lavorare, che faccio? (1972). Enzo Cerusico, Ninetto Davoli, Giovanni Barbato e Paolo Rosani si travestono da frati, si vendono sessualmente (divertente scena con la giunonica e sadica Francesca Romana Coluzzi che schiavizza Cerusico), ingannano ragazze per interesse (Adriana Asti), il tutto per cercare di portare a compimento i propri traffici ed evitare le forze pubbliche (qui rappresentate dai marescialli Luciano Salce e Leopoldo Trieste). I quattro sbandati, che subiscono anche la competizione con il più esperto “Due Novembre” (uno spassoso Vittorio Caprioli), decidono di derubare nientepopodimenoche il Museo Etrusco. Tradimenti, dietrofront e piano grottesco porteranno ad uno scontro finale tra… poliziotti, infatti quattro di loro, infiltrati dai due Marescialli in competizione, parteciperanno al furto credendosi due bande rivali… Il film, l’esordio di Flavio Mogherini, è ambizioso volendosi inserire nei filoni della commedia goliardica romanesca con Pasolini di riferimento, ma invece risulta spesso un guazzabuglio senza ritmo, salvato parzialmente dalla schiera di ottimi caratteristi ingaggiati. Sorpendente però il finale con svolta cinico-drammatica (voto 5,5) Product placement piuttosto notevole ma senza particolare inventiva. Bottiglie di J&B in esposizione, Fernet Branca e Campari che compaiono in pubblicità davanti ai bar, Il Tempo sfogliato per le notizie principali, distributore FINA che pubblicizza Lavazza. Infine Mercedes e Roll’s Royce a fare presenza.

John il bastardo, di nome e di fatto. Armando Crispino nel 1967 nel suo unico western s’inventa un Don Giovanni nel far west, o meglio in Almeria, patria dello spaghetti western. John viene chiamato “il bastardo” perché sua madre non gli ha mai rivelato chi era suo padre, ma in realtà bastardo lo è a tutto tondo per come tratta le donne e per come non si faccia scrupoli nell’uccidere. Seduttore impenitente, capace di lasciare una donna con cui ha fatto sesso al momento della cerimonia matrimoniale oppure di partire lontano da un’altra dopo che lei ha tradito i suoi parenti per lui e dopo averle tolto la verginità; finire in un campo di mormoni da eroe solo per amarne altre due (a proposito di poligamia) e, soprattutto, dopo che ha scoperto di essere figlio di Don Tenorio, “domare” la moglie del fratello, convincerla a commettere adulterio e poi spiattellare tutto durante il convivio in cui è accolto come figliuol prodigo dal padre. Il film è raccontato come fosse la sua vita rivista in punto di morte dal servitore di Don Juan, Morenillo, che fa le veci di Leporello, fedelissimo a John nonostante venga trattato da povero idiota in un rapporto sadomaso dagli oscuri significati omosessuali. Il film è notevole nella parte psicoanalitica (il rapporto con le donne e la loro sottomissione al “bastardo” a cui non riescono a rinunciare, così come accade al servitore, il rapporto rabbioso con padre, fratello e madre, l’instabilità psicologica e amorale di John) ma Crispino ha problemi per mantenere una coerenza generale e le scene più propriamente appartenenti al genere (le sparatorie, l’assalto al treno e alla diligenza) sono francamente bruttine. Il film è comunque decisamente curioso e sorretto da un buon protagonista, l’inglese John Richardson ineffabile canaglia dagli occhi azzurri (già protagonista de La maschera del demonio di Bava) ed esaltato da due figure iconiche, Martine Beswick con la sua bellezza altera e mascolina che la farà diventare indimenticabile protagonista di Barbara il mostro di Londra, e qui cognata che non riesce a dominarsi di fronte a John pentendosene fino al suicidio, e Gordon Mitchell in una parte piccola ma fondamentale, appare infatti in brevi spezzoni come Cavaliere nero (incarnerebbe un prete mormone) che incarna il convitato di pietra, ovvero la morte che arriva, a presentare il conto a Juan Tenorio. Il film ha avuto “l’onore”, pur non essendo particolarmente conosciuto, di un’analisi metacinematografica da parte dell’ottimo Jean-Francois Giré nel suo dettagliatissimo Il ètait une fois… le western europeen (Dreamland editeur – 2002) dedicato appunto a tutti i western di produzione europea: “Trasposizione nel West del mito di Don Juan, la sceneggiatura miscela con il tono dell’ironia e del melodramma popolare la ricerca dell’identità e la quete filiale. Queste tematiche edipiche spesso evidenziate, questo interrogarsi sull’identità è stato apparentato a un tormento del western all’italiana quanto all’incertezza delle proprie origini in rapporto al suo modello d’ oltre Atlantico. Il bastardo italiano sarebbe alla ricerca delle sue radici difronte a quelle dell’imponente papa americano.”

 

Stefano Barbacini

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