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CINEMA
18 Novembre 2024 - 20:26

DIARIO VISIVO (Richard Lester)

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Esordi e primi film
DIARIO VISIVO (Richard Lester)

Comincio una rivisitazione del cinema eterogeneo di un regista della “swinging London” che solo in piccola parte può essere paragonato ai contemporanei registi cosiddetti “giovani arrabbiati” come Tony Richardson, Lindsay Anderson, Karel Reisz, John Schlesinger. Fin dall’inizio l’interesse di Richard Lester è per la comicità e la musica. Affiancato ai Goons (gruppo di comici radiofonici tra cui spicca la futura star Peter Sellers), proprio grazie all’amicizia con l’attore riesce a dirigere un cortometraggio di successo (Running, standing and standing still, 1959), che praticamente è una raccolta di scenette comiche che anticipano Benny Hill e i Monthy Python interpretate anche da Peter Sellers di cui un paio si possono trovare su Youtube, e i suoi primi due film, It’s Trad, Dad! (1962) e Mani sulla luna (The Mouse on the moon, 1963). Il primo è praticamente una raccolta di video che potrebbe essere una puntata di Top of the pops, una ventina di esibizioni di gruppi jazz, rock e twist, tenute insieme da un’esile trama in cui due ragazzi (interpretati da Helen Shapiro e Craig Douglas che poi si esibiranno) cercano di combattere un sindaco di un paesino che odia la musica moderna e vuole bandirla. A parte le belle immagini ed alcune invenzioni visive notevoli, Lester inserisce qualche gag (anche surreali come il fatto che i protagonisti interagiscono con la voce fuori campo chiedendole anche di tirare una torta in faccia ad un poliziotto) e per il resto si bea dell’ottima musica che filma. “…il film è pieno di piccole invenzioni, trucchi di ripresa, movimenti di camera e uscite impreviste (…) Qua e là qualche impennata di energia, soprattutto nei numeri da ballo e nelle apparizioni di (Del) Shannon, (Gary ‘U.S.’) Bonds, (Chubby) Cheecker e (Gene) Vincent, e una capacità nuova di mettere in scena la musica leggera inglese primi anni Sessanta” (da “I frenetici, l’enciclopedia dei film che hanno inventato i giovani, Giandomenico Curi, Arcanapop). (voto 6) Sponsorizzato da Coca Cola, product placement del film.

Il secondo è il sequel di Il ruggito del topo (1959), film diretto da Jack Arnold e in cui Peter Sellers è protagonista assoluto interpretando tre ruoli, quello della duchessa dello stato più piccolo del mondo, il fittizio Grand Fenwick, del primo ministro e dell’imbranato capo delle guardie. Capita che quando gli americani mettono sul mercato un vino farlocco che va a far concorrenza al Fenwick doc, il vino prodotto dallo stato di Fenwick e unica risorsa del paese, il primo ministro si inventi di dichiarare la guerra agli Stati Uniti con l’unico obbiettivo di… perderla per “usufruire del trattamento di favore che gli americani riservano agli sconfitti dandogli soldi e risollevandoli dalla crisi” con chiaro riferimento, non senza polemica, a ciò che è successo con la Germania dopo la seconda guerra mondiale. Succede che venti uomini con a capo il Peter Sellers comandante delle guardie, vestiti in maglia medievale e armati di arco e frecce, riescono rocambolescamente ad impadronirsi di una bomba ancora più potente di quella atomica e a far prigionieri lo scienziato che l’ha inventata, la figlia di questo, un generale dell’esercito e quattro poliziotti americani… vincendo di fatto la guerra! A questo punto il piccolo stato con la sua bomba diventa mira di tutte le nazioni potenti della terra, Francia, Inghilterra, Russia… Siamo in piena guerra fredda e il film è decisamente una divertente presa di posizione contro la follia dell’atomica e monito contro la possibilità di una guerra totale. Se giustamente viene considerato un po’ sorpassato nello stile e nell’ingenuità delle sue teorie, non lo è, purtroppo, per la preoccupazione dell’escalation di armi e guerre. Resta comunque un film divertente con qualche pungente battuta, anche surreale come quando il generale prigioniero dichiara alla Duchessa:-Conosco la convenzione di Ginevra a memoria. Risposta: - Bene così me la reciterà, io so suonare l’organetto… Un film con Peter Sellers in più ruoli che parla del pericolo della bomba atomica non vi ricorda qualcosa? Che Kubrick abbia preso spunto da questo film per il suo capolavoro Il Dottor Stranamore? (voto 6,5).

Ma torniamo al nostro Richard Lester. Dicevamo di Mani sulla luna che più che il seguito del precedente ne è il secondo capitolo. Qui Sellers non è presente e quindi i suoi tre personaggi (o corrispettivi) sono interpretati da altri caratteristi comici inglesi (Margaret Rutherford, Ron Moody e Bernard Cribbins). Nel Granducato di Grand Fenwick è tornata la crisi. L’unica risorsa, il già citato vino Gran Red, non si riesce più ad esportare e stavolta non per una concorrenza sleale. Il Primo Ministro architetta così un’altra truffa ai danni degli Stati Uniti chiedendo un prestito per finanziare fantomatiche ricerche spaziali (“loro che non hanno neppure lanciato un petardo verso il cielo”) visto che hanno dalla loro parte l’eminente Professor Kokintz che potrebbe avere idee inedite sulla costruzione di razzi da mandare sulla luna. Il tutto è una boutade che serve solamente per avere i soldi. Ma… naturalmente Konkintz aiutato dal figlio del Primo Ministro, alter ego dell’imbranato comandante delle guardie del primo film, riuscirà veramente a costruire un razzo-astronave utilizzando come carburante propulsivo… proprio il vino Grand Red!! Riuscendo così a superare nella corsa alla luna Russia e America… Il film è meno divertente del precedente ma sufficientemente simpatico da lasciarsi guardare senza tedio. Lester di suo ci mette un breve intermezzo sui “teddy boys” che si stanno imponendo anche nello staterello in cui si entra senza alcun documento, dopo il cancello in fondo… Il film ci permette di scoprire un opposto senso umoristico da parte dei due autori dei dizionari italiani di cinema più importanti, il Morandini plaude al film con un “esilarante seguito di Il ruggito del topo (1959)” mentre il Mereghetti lo affossa con un “ha poche carte da giocare e diverte poco”. (voto 6) In una panoramica sulla città spiccano le “casuali” insegne, in bella vista, di Coca Cola e Wringley’s, product placement?

Il corto citato ad inizio articolo, Running, standing and standing still, pare sia stato un cult per John Lennon e per gli altri Beatles. Fu così che quando la casa discografica degli scarafaggi decise di amplificare la già enorme fama del quartetto di Liverpool, i nostri chiesero come regista Lester che diede una svolta alla sua ancor breve carriera. Tutti per uno (A hard days night, 1964) fu il primo dei due film del sodalizio Lester-Beatles e risultò in qualche modo un avvenimento dirompente. Si andò ad inserire in un periodo di eccitazione culturale che proprio dall’Inghilterra si propagava al resto del mondo. Le grandi folle di fan impazzite (che costrinsero a cambiare i piani di lavoro del film perché invadevano continuamente il set) vengono inserite subito nel film (“E’ la Beatlemania al lavoro, in tutti i sensi. Buona parte delle duecentomila sterline del budget viene spesa così per sfuggire alla folla che puntualmente invade il set e interrompe le riprese (…) i fan ci sono nel film, continuamente, e la loro presenza vera diventa sempre più importante, fragrante, saltellante, violenta, fino, a volte, a trasformare la finzione in documentario…” da I frenetici di Giandomenico Curi, Arcanapop, 2002). Tutti per uno è in definitiva un falso documentario, in cui si segue la band in due “normali” giornate di lavoro. Treni per raggiungere una stazione televisiva per uno show, le prove, il manager che li tampina, i party in cui i nostri fuggono e in cui sberleffano la normalità cercando di sopravvivere alla loro fama. La dirompenza delle fan e lo spirito libero dell’opera sono di per sé stessi qualcosa di nuovo, di “contro”, una nuova era che farà scrivere a Robert Benayoun su Positif 175 del novembre 1975 nell’articolo Richard Lester dans son bloc d’ambre: “E, adesso, con Richard Lester, ci si domanda se questi quattro musicisti con l’accento di Liverpool, non abbiano portato di più al loro paese che non gli scritti d’Alan Sillitoe, le pièce di John Osborne o i primi film di Tony Richardson”. Sulle note di “Can’t buy me love” e di altre grandi canzoni dei Beatles, Lester ci mette del suo lo stile libero dal linguaggio cinematografico classico mettendo le basi per i video musicali del futuro, mettendo gag da cinema americano tipo Laurel & Hardy, utilizzando un montaggio frenetico in cui i volti dei nostri idoli delle folle occupano l’intero schermo iconicamente. Ma la trovata geniale di sceneggiatura, poi utilizzata al meglio dal regista, è l’inserimento del personaggio fittizio del “nonno” di Paul McCartney. Figura perturbante e “critica”. Infatti il quartetto che guida la rivolta pacifica dei giovani arrabbiati in realtà rischia di diventare qualcosa di modaiolo e troppo grande per restare veramente di rottura e è proprio il nonno a rappresentare la scheggia impazzita e destabilizzante con le sue azioni imprevedibili. Lui e l’anomalia della band, ovvero la “bruttezza” del “nasone” Ringo Starr. Ad esempio, le gag più indovinate, in un film tutto “orizzontale”, dato che i nostri non fanno che correre, fuggire e muoversi, sono due situazioni “verticali”, nella prima il nonno irrompe sul set televisivo impropriamente azionando una leva che lo solleva in alto sbucando dal pavimento dello studio e nella seconda Ringo Starr aiuta una signora ad evitare le pozzanghere mettendo il proprio cappotto ai suoi piedi, ma una delle pozzanghere si rivela un buco in cui sprofonda la donna. “Contagioso per l’allegria, la gioia di vivere, il vitalismo, l’agilità, la disinvoltura con diverse sequenze memorabili e una spregiudicata contaminazione tra gli influssi della Nouvelle Vague francese e quelli del Free Cinema britannico. Un film giovane al passo dei fervidi anni ‘60” (Il Morandini) (voto 6/7). Pepsi, Pentax e Martini il product placement presente.

Tra i due film con/per i Beatles, Richard Lester vince il festival di Cannes con il suo film Non tutti ce l’hanno (1965) che, senza le musiche e la presenza della band, mantiene lo spirito di Tutti per uno con un linguaggio frizzante che si allinea alle nouvelle vague (non solo quella francese ma anche, ad esempio, quella Cecoslovacca, il free cinema inglese, ma anche la comicità di Tati…) con un linguaggio cinematografico vario e innovativo. Ripetizioni delle azioni, sdoppiamenti di personaggi, movimenti dei personaggi avanti, indietro, avanti ecc., gusto dell’assurdo, montaggio scomposto e spirito anarchico. “Il film affronta in modo satirico quello che sta a cuore a tutte le nouvelles vagues contemporanee, ovvero il percorso che porta dal risveglio dei sensi al sentimento amoroso passando per il rimorchiare e la sessualità” (Marc Cerisuelo, Les debuts de Richard Lester, Positif 745). Infatti il racconto fatto di gag e ricerca, lievità e trovate registiche (recuperando lo spirito delle comiche del muto, rinnovandole) alla fine si risolve in una trama semplice in cui tre ragazzi hanno praticamente un solo pensiero, rimorchiare qualche ragazza. Due di loro sono impacciati e fanno fatica a rapportarsi con il gentil sesso, il terzo è un sedicente “tombeur de femmes”, quello che possiede the knack (quel quid necessario per attirare le ragazze che in italiano è tradotto con l’inesistente “pitipanzio”!). In realtà quest’ultimo rischia di avere approcci prepotenti da predatore (se non da violentatore). Quando entra in scena l’apparentemente dimessa e timida Rita Tushingham con il suo musetto da faina, i ragazzi si agitano e cominciano a fare cose assurde tipo andarsene in giro con un enorme letto per la città! Lei si rivelerà ben capace di badare a sé stessa e alle avance del don Giovanni scegliendo alla fine il timidone protagonista e l’amore. Una trama semplice da commedia, impreziosita dall’inventiva di Lester. “Non tutti ce l’hanno resta inimitabile. Come nessun altro, Lester impose la freschezza, la giovinezza, l’ilarità in soccorso di un cinema britannico impantanato nelle convenzioni” (Christian Viviani alla voce Richard Lester del Dictionnaire du Cinema, Larousse, 1995, trad. mia) (voto 6/7). Da un giornale spicca la pubblicità di Cinzano ma il product placement principale è quello di Harrods e della rivista Honey, mensile per ragazze inglesi degli anni ’60. Presente anche North Western.

Il secondo film di Lester con i Beatles è decisamente deludente rispetto all’innovativo Tutti per uno. Help! (1965), a colori al contrario del primo, non ha una sceneggiatura scarna come quelle delle due opere precedenti di Richard Lester, cosa che lasciava al regista molto più spazio ad uno stile libero e “pazzo”, qui vi è una traccia, seppur esile e assurda (una setta di origini indiane deve fare un sacrificio umano e per farlo ha bisogno che il o la sacrificato/a indossi un anello particolare che al momento è al dito di Ringo Starr; da cui un inseguimento e un tentativo di impadronirsi dell’anello da parte dei componenti della setta, a cui si aggiungono due scienziati “pazzi”, che dura tutto il film) che contiene riferimenti ben precisi al cinema di genere (horror, fantascienza, parodia, spionistici) ed è pieno di gag “scritte” e non visive come nei precedenti film. Questo costringe il regista a ritornare un po’ alla commedia parodistica di Mani sulla luna e a limitare gli interventi di regia. Le gag e la sceneggiatura non sono particolarmente felici ma piuttosto stupide in generale tranne quando “Lester si diverte comunque, prendendo come riferimento per le sue gag mondi filmici diversi, ad esempio come quello della fantascienza, con l’intrusione di due scienziati stravaganti e la riduzione di Paul allo stato lillipuziano dopo un tentativo fallito di rimpicciolire il dito di Ringo (per sbarazzarsi del dannato anello)” (Marc Cerisuelo, Les debuts de Richard Lester, Positif 745). Ritroviamo invece la voglia di sperimentazione di Lester nelle esibizioni canore del quartetto, in pratica veri e propri videoclip in cui, come scrive Giandomenico Curi su I frenetici, la sua enciclopedia dei film che hanno inventato i giovani, Arcanapop, 2002: “Forse la musica qui è meno bella ed energica, ma messa in scena con grande determinazione e intuizioni geniali: basta pensare, per fare un esempio, alla sequenza di Ticket to ride sulla neve delle Alpi, o a quella di I need you sulla piana di Salisbury con esercito e tutto…”. Aggiungerei anche quella di Another girl al sole delle Bahamas. (voto 6-). Ancora Harrods tra i principali product placement, poi Daily Express, Pan Am e Goodyear.

Stefano Barbacini

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