L’ennesima partecipazione ad un b-movie da parte di Nicolas Cage, ormai attore stracult del cinema di genere, la potete trovare su Prime nel film Arcadian (2024) di Benjamin Brewer in cui “non è che di passaggio. Attraversa il film con quell’aria inquieta che coltiva fin da Segnali dal futuro di Alex Proyas, lavora su una forma di rassegnazione rabbiosa straniante, che gli viene, questa, dai suoi recenti western” (San Elving, Vod Bordello, MadMovies). Post-apocalittico in cui il nostro è un padre che cerca di sopravvivere con i due figli (di cui uno proto scienziato ed inventore di genio e l’altro tipico belloccio che pensa solo alla… fica e a mettersi nei guai) contro dei mostri notturni nati da ciò che è successo nel mondo (in verità non si sa bene cosa, blatte che hanno portato un virus?, una nebbia tossica che ha generato lupi mannari?). In realtà i protagonisti sono i due ragazzini, prima in lite tra loro, poi uniti in amore fraterno assieme ad una vicina sopravvissuta allo sterminio della famiglia. Devono affrontare questa specie di orda dall’aspetto di pseudo lupi mannari incrociati con i mostri di The Strain, mentre Cage dopo pochi minuti è moribondo e quando si riprende nel finale agisce in modo non certo “smart”. Filmetto guardabile con derive sentimentali puerili e una trama che non affronta profili psicologici ma si riduce alla lotta contro l’orrore causato dall’epoca dell’antropocene (“che siano extraterrestri giunti sulla terra per sterminare gli umani che sono considerati un virus?”). Poche buone trovate e nessun product placement. (voto 5,5)
Film collettivo con scene di erotismo “spinto” nel film del finlandese Aku Louhimies, un regista che fa cose interessanti sia in tv che al cinema senza troppo censurarsi, Vuosaari conosciuto internazionalmente come Naked harbour (2012). Per collettivo intendo che non vi è un protagonista ma tanti le cui storie vengono intervallate. Quasi un film a episodi ma con gli episodi che si spezzano alternandosi. Abbiamo una madre malata che deve spiegare la sua discesa verso la morte alla piccola figlioletta; una ragazza bulimica e disposta a tutto per diventare celebre che finirà ingloriosamente con un suo video in un canale porno del web; un bambino russo bullizzato che rischia di diventare uno school-murder; un uomo con la fissa del fisico (in realtà un panciuto impotente) che con le sue idee rovina la vita del figlio; una madre insensibile che non capisce il legame affettivo del figlio per il suo cane; una coppia in crisi che diventa un triangolo con la studentessa-donna delle pulizie che amante di lui; una coppia di dropout senza soldi che si arrabatta tra prestazioni sessuali e tentativi di rapina per aggiustare la squallida vita. Uno zoo di personaggi di una triste umanità del presente osservata impietosamente dal regista nella gelida Finlandia. La troppa carne al fuoco però nuoce alla fine all’attenzione dello spettatore. (6+). Il film presenta un’abbondante presenza di marche, le più visibili sono Adidas e Puma (un personaggio le indossa entrambe contemporaneamente), un paio di supermercati Smarket e Chico’s, il Mc della Apple e la Mazda.
Un film come The outfit (2022) reperibile sulle piattaforme, è il tipico film definito “con una sceneggiatura di ferro”. Ed in effetti la storia del sarto (anzi un “tagliatore”) che, nella Chicago degli anni ’50 del Novecento, confeziona abiti per chi se li può permettere, si trova, assieme alla sua assistente, incastrato in mezzo a traffici poco chiari da parte di alcuni gangster locali. Piano, piano riuscirà a trovare alcuni espedienti per tirarsene fuori. Il film è tutto ambientato dentro i locali della sartoria, praticamente una pièce teatrale, ed è godibile per le varie e continue sorprese e ribaltamenti degli avvenimenti che vi avvengono. Sostenuto da ottime interpretazioni resta però molto “imballato” e poco cinematografico. Film in “costume” senza product placement. (Voto 6)