L’ARRIVO DI WANG – Manetti Bros. (2012)
I Manetti riescono a girare due film in un anno, uno di fantascienza ed uno horror: solo per questo sono da annoverare tra i fenomeni…
Di “Paura 3D” (successivo a quello che andiamo a commentare) abbiamo già detto, di questo “L’arrivo di Wang” diciamo subito che l’avvenuta sua realizzazione è ancora più azzardata che non quella dell’altro.
Infatti si parla assai di un nuovo scenario horror, ancora sotterraneo, sul suolo italico, che nonostante le difficoltà produttive e i non sempre decenti risultati qualitativi pur esiste. Della fantascienza invece cosa si può dire? Buio assoluto se non vogliamo considerare esempi collaterali (sto pensando al film di Gipi “L’ultimo terrestre” in cui l’elemento “extraterrestre” è mero espediente per parlare d’altro) o marginali (alcune cose girate direttamente per internet).
Ma quando mai un film di fantascienza con tanto di extraterrestre a forma di polipo come protagonista?
Il suddetto essere tentacolare piovuto dal cielo direttamente in casa di Amunike, nera immigrata in Italia, viene catturato dai servizi segreti e rinchiuso in un bunker ben nascosto all’opinione pubblica. Gli agenti dei servizi non possono però fare a meno di richiedere i servigi di Gaia, traduttrice dal cinese (infatti il buon Wang, così si fa chiamare l’extraterrestre, ha pensato bene di imparare come unica lingua “terrestre” il mandarino prima di catapultarsi sulla terra, ingannato dalle statistiche che davano questa come la lingua più parlata sul nostro pianeta!) per poterlo interrogare.
Gaia assiste così al terzo grado dell’agente Curti ai danni di Wang e davanti ai metodi “fascisti” dell’agente (addirittura chiamerà in aiuto un torturatore di professione per far parlare il prigioniero e scoprire se vi sarà un’invasione da altri mondi) si ribella minacciando di rivolgersi ad AMNESTY e cercando di liberare l’essere dalle grinfie dei suoi aguzzini…
Le considerazioni finali sulla fatica dei Manetti non sono molto diverse da quelle a cui siamo giunti dopo la visione di Paura 3D. I due fratelli registi sono i migliori attualmente in Italia tra quelli che cercano di riproporre un cinema di genere senza rischio di cadere nel ridicolo anche proponendo un verdastro e viscido mostriciattolo come protagonista del film (anche se non evitano le risate del pubblico ma su questo sono dalla parte dei Manetti: perché davanti ad un effetto speciale in un film italiano si ridacchia mentre si è sopportato e addirittura eletto a capolavoro un film che proponeva un nano di gomma con il testone capace di volare su di una bicicletta in silhouette nella luce lunare e capace di spiccicare solo due parole idiote come “telefono…casa” perchè diretto da un osannato regista americano?), sanno “tenere” bene il film e farciscono l’opera con considerazioni non banali sulla diffidenza e il pregiudizio umani.
Purtroppo troviamo anche i difetti soliti, una trama troppo prevedibile, personaggi che non riescono ad essere “realistici” fino in fondo, dialoghi a volte ‘buttati lì’. Stavolta la regia non è aiutata neppure dagli attori, infatti il Curti di Fantastichini è troppo caricaturale e la Cuttica (Gaia) ci è piaciuta di più in “Paura 3D” (forse perché recita meno?).
Accontentiamoci comunque.
Il MAC APPLE e un monitor SHARP sono di supporto ai poliziotti per indagare sull’invasore da un altro mondo mentre altro product placement è concentrato nei KIT KAT e negli snacks che, assieme alla COCA-COLA, servono a ritemprare l’affaticata GAIA.