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CINEMA
15 Gennaio 2025 - 19:52

DIARIO VISIVO (B-movies)

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The burning; Horror of party beach; The return of dr. X;
DIARIO VISIVO (B-movies)

L’anno dopo Venerdì 13 vi fu una proliferazione di film slasher che assomigliavano a questo film diventato subito di culto. I fratelli Weinstein erano ai loro primi film prodotti e decisero di mettere assieme la casa di prouzione Miramax per finanziare un film la cui idea nasce da una leggenda metropolitana, quella del serial killer dei boschi Cropsey, ma che poi si sviluppa non molto differentemente dagli altri slasher. The burning (1981), infatti vede il solito gruppetto di giovani in un camp estivo, accampati nel bosco; davanti al fuoco si raccontano la leggenda che però si rivelerà vera. Infatti nel bosco si nasconde il custode di Camp Blackfoot che alcuni anni prima, a causa di uno scherzo mal congegnato, ha avuto bruciature impressionanti su tutto il corpo. Ora, nell’oscurità e tra gli alberi, aspetta i giovani per ucciderli a colpi di cesoia. Bisogna aspettare un’ora di film e innumerevoli scene che ti fanno credere dell’arrivo del truce assassino (e lo spettatore attende solo quello…) per poi deludere le attese prima che succeda qualcosa. Tra un atto di bullismo, un’ostentazione di ormoni maschili e civetterie femminili e qualche scena non eccessivamente divertente, ci deliziamo solamente dei nudi integrali dell’ex Miss Ohio Carolyn Houlihan e di Carrick Glenn (in una scena di doccia immancabile in un exploitation che si rispetti…). Poi arriva lui con le sue cesoie e arriva il makup sanguinolento di Tom Savini che ripropone in buona parte le stesse soluzioni che lui stesso aveva utilizzato in Venerdì 13 e finalmente lo spettatore ha ciò per cui ha pagato il biglietto. Il film non è bruttissimo ma uno dei tanti. (voto 5,5) Si citano i piaceri classici dei ragazzi americani (sarà product placement?), ovvero Big Mac, Coca Cola e… Playboy (in realtà anche Hustler)-

Horror of party beach (1964), il secondo film di Del Tenney porta nel titolo tutte le particolarità di questo genere, molto americano, di film. Ovvero la spiaggia davanti all’Oceano, il party, ovvero la festa di solito con musica surf o beat e tante ragazze in bikini e, infine, l’horror, rappresentato da un mostro, per cui solitamente non si va troppo per il sottile con il “trucco”. Nel caso specifico, durante la festa giovanile che si svolge sulla spiaggia mentre i Del-Aires suonano e cantano, una ragazza, Tina, fa impazzire il protagonista del film e altri giovani maschi per il suo erotismo e la sua impertinenza. Ape che corre da un fiore all’altro, causa un aumento testosteronico che porta ad una rissa tra giovani palestrati e biker (probabilmente coreografata da un wrestler…). Tina verrà subito punita per la sua impudenza essendo la prima vittima del mostro che giunge dalle acque, mostro creato dal “solito” bidone di sostanza radioattiva lasciata cadere nel mare che fa resuscitare i cadaveri. Il mostro (anzi i mostri) sono qui stuntmen vestiti come se dovessero partecipare ad un carnevale cinese, mascherone probabilmente di cartapesta (con gli immancabili occhi fatti da palline da pingpong) e una tuta con improbabili squame. Finita la festa in tragedia si corre subito “dall’esperto” il dr. Gavin in questo caso. (Se ci pensate bene questi topoi vengono mantenuti negli anni anche nei film mainstream e girati decisamente con più mezzi, Lo squalo Spielberghiano ne uno dei più illustri esempi). “L’esperto” scoprirà, del tutto casualmente che queste creature metà cadavere e metà pesce, nate dalle radiazioni, possono essere “vaporizzate” grazie al sodio (avrebbe avuto più senso lo iodio forse…mah!) e salverà la vita della figlia che sostituirà Tina nel cuore del protagonista. La brava ragazza prende il posto della “frivola”. Il film ebbe successo per il suo intelligente mix di musica, giovani innamorati e biker, i riferimenti dei teenager di allora. (voto 5) Motorola, radio sull’auto, apre un discreto capitolo di product placement in cui troviamo Coca Cola/7up, il Daily Herald, Esso e  Wolton Co.

Voglioso di rivedermi qualche b-movie di genere, prodotti a basso costo dello studio system hollywoodiano, scelgo a caso uno dei tanti numeri di Scary Monsters che anni fa compravo per poi ammucchiarli in casa senza leggerli… affascinato comunque dal loro stile rigorosamente vintage. Il numero in questione è il 29 del dicembre 1998… Lo scorro e vedo i primi articoli per farmi dare un’idea di cosa guardare. Vedo un articolo di una collaboratrice (o collaboratore?) alla rivista che si fa chiamare Zarina Suspiriorum e presenta il film del 1939 The return of Dr. X nella sua rubrica Zarina’s Midnight Matinee così: “La Contessa fa visita a un laboratorio di mad doctors e trova… Humphrey Bogart?”. E al centro vi è la foto di un Bogart in versione Malgiolio con sguardo minaccioso! Infatti il film di Vincent Sherman (un regista di grande mestiere a Hollywood), qui al suo esordio, è un B-movie che inizia come un mistery in cui un giornalista Wayne Morris deve intervistare una diva dello schermo, Angela Merrova (Lya Lys, già icona erotica in L’age d’or di Bunuel) ma quando arriva nella sua stanza la trova morta. Chiamata in fretta la polizia questa non trova nessun cadavere nella stanza. E la Merrova riappare del tutto viva (o quasi…) il giorno successivo. Da qui si sviluppa una trama invece orrorifica (ma non particolarmente “paurosa”) con uno scienziato che tramite studi del sangue vuole inventarsi Frankenstein (John Litel), un medico e un’infermiera amici del giornalista e il bizzarro e dall’oscuro passato dottor Quesne (già dottor X…) che è proprio l’Humphrey Bogart nella parte di uno zombie-vampiro…pensare che solo un anno dopo la sua carriera sarebbe lievitata grazie a film come Una pallottola per Roy e Il mistero del falco e poco più di due anni dopo esplosa con Casablanca. Nella sua autobiografia proprio Sherman ci dice che la sorpresa fu di tutti, anche degli Studios: “molti registi e produttori pensavano la stessa cosa che pensava Warner su Bogart, che era un buon gangster o un “cattivo” ma che non potesse fare altro e che non sarebbe mai stato accettato in un film di serie A come protagonista che “cattura la donna”. Se qualcuno avesse predetto a quel tempo che Bogie avrebbe un giorno recitato un amante romantico al fianco di Ingrid Bergman, come in Casablanca, e sarebbe diventato l’idolo di milioni, sorpassando Cagney e Flynn, sarebbe stato considerato uno stolto. A me non interessava cosa gli altri pensavano. Bogie era un buon attore e io ero felice di averlo per il film” (da Studio Affairs: my life as a Film Director, traduzione mia). Il film è un buon b-movie di genere, in cui Sherman comincia a sperimentare come inquadrare e mettere in risalto il volto delle “divine” (quello che diventerà un suo punto di forza) in un paio di sequenze, con fotografia e inquadratura decisamente più curata che non il resto del film, quando riprende Lya Lys dandole charme e seduzione. Tornando alla nostra Zarina, nel suo articolo non è così benevola con Bogart arrivando a scrivere: “Purtroppo il punto debole di The return of dr. X è proprio Bogart. Del vampiro non ha il portamento. Il suo trucco sembra meglio adattarsi a un film muto e la sua monotonia nel pronunciare le battute potrebbe essere un’idea del regista Sherman”. Secondo me il commento è ingiusto, anzi l’esagerazione del personaggio e il suo caricaturale aspetto (tra l’altro si presenta con in braccio un coniglietto bianco a cui paragona i suoi guai), proprio così discussi e voluti da attore e regista, danno una svolta iconica ad un film che altrimenti (a parte la Lys) ne ha poco. Invece sono d’accordo nell’appello, simpatico, finale: “Comunque, quando vi può mai capitare di vedere Sam Spade interpretare un succhiasangue? Per questo The return of dr. X merita 68 minuti del vostro tempo.” (voto 6). Possibile product placement per il giornale Morning Dispatch e per il Park Vista Hotel

Stefano Barbacini

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