Con il solito colpevole ritardo ci accingiamo a recensire uno dei film più piacevoli visti negli ultimi tempi. Si tratta di “The intern“ (Lo stagista inaspettato - A.D. 2015), una commedia “impegnata“ interpretata da Robert De Niro e Anne Hatthaway.

I due protagonisti sembrano e sono perfettamente a loro agio in questo copione: “About the fit”, azienda di vestiario solo e-commerce in rapido sviluppo diretta da Jules Ostin (Hatthaway) ricerca stagisti “Senior” over 70 con tanta voglia di fare. La selezione viene vinta da Ben Whittaker (De Niro) che si butta con entusiasmo nella nuova avventura.

De Niro, assieme al suo immancabile broncio (peraltro un po‘ monotono) impersonifica il pensionato propositivo, diretto, equilibrato e sufficientemente “smart” per avere a che fare con i deliri della vita moderna. La Hatthaway ruba il posto alla sua ex capa Meryl Streep (Il Diavolo veste Prada) pur conservando quel candore e quella dolcezza cristallina che sembrano appartenerle anche fuori recitazione (“at a glance“ come direbbero negli USA).

Ben e Jules finiscono con il piacersi oltre ogni più ragionevole previsione instaurando un rapporto che sembra una via di mezzo tra amicizia, amore e affetto genitoriale.

Quello che questo film vuole dimostrare è che non bisogna dare l’età per scontata neppure dopo la pensione: saggezza, calma e disponibilità possono tornare molto utili a mettere ordine nei famelici processi aziendali dell’era digitale.

Piove (letteralmente) in questo contesto un enorme casistica di product placement: si parte da Starbucks che fa sentire De Niro parte del sistema, si continua con Sony la cui Telecamera serve a preparare il filmato da caricare su Youtube. Poi si rivelano schiere di Mac e di Dell nell’open space della fittizia “About The Fit” oltre a tanti altri brand da Pepsi a Samsung passando per Verizon e GumGum. Una gioia, un vero tripudio di brand che dimostrano quanto negli States il Product Placement sia da decenni consolidato anche nelle produzioni di medio-alto livello come questa pellicola. Sarebbe ora che anche in Italia cadesse la velata ipocrisia critica che permea questo potentissimo strumento di marketing lasciandolo libero di portare tutti gli effetti positivi che possiamo intuire.