Avendo appena recuperato alla visione L’altra Heimat di Reitz, vedere (al momento in streaming su Now) il celebrato Vermiglio di Maura Delpero mi spinge ad un paragone con quello. I due film sono dello stesso genere, quello della terra, del mondo contadino, dei paesi di provincia e sono entrambi due film “storici”. Ma è più semplice paragonarlo ad uno dei masterpiece di questo genere, se non altro perché italiano e perché girato in dialetto come questo, là bergamasco, qui della Val di Sole, ovvero L’albero degli zoccoli di Olmi. L’heimat, la terra madre, il luogo delle origini. Non per nulla il titolo richiama il luogo, non i personaggi, Vermiglio. A differenza dei due esempi citati, il film della Delpero non si prende “tutto il tempo” di raccontare (entrambi i film superano le tre ore, Vermiglio solo due) ma non mancano i dettagli quasi documentaristici delle attività e della vita, durissima, del luogo e del tempo (fine della guerra mondiale, 1944-45).
In una famiglia patriarcale (il padre è maestro di scuola) formata da una moglie “fabbrica” da figli (10 parti, 8 figli ancora vivi, 2 morti poco dopo la nascita), i vari figli, la sorella del capofamiglia e il nipote, arriva il disertore Pietro, siciliano, che si innamora della figlia maggiore di Cesare (un Tommaso Ragno in un’interpretazione molto trattenuta) Lucia (Martina Scrinzi che sembra uscita da scuola “Rohrwacher”), la mette incinta e la sposa. Poi torna in Sicilia e non sembra dar più notizie. Questa è la trama principale del film che, in realtà, viene messa in secondo piano dall’abilità della Delpero di farne un racconto collettivo. Il film è anche la storia di un… letto, quello dove dormono assieme le tre sorelle, una, Ada ha tendenze bigotte ed è insoddisfatta dal fatto che il padre ha deciso di non farla continuare a studiare, poi Flavia, la più piccola e la “prescelta” per il collegio e lo studio e, appunto, Lucia. Su questo letto si fanno confidenze, si piange, si spettegola. Si parla dei fratelli, del cugino, amico di Pietro e anche lui disertore dell’ultima ora, dell’irriverente e libera Virginia, di Pietro e delle autopunizioni che si infligge Ada. Alla fine, il tempo svuoterà questo letto come vedremo nella bella immagine finale.
Il film al suo meglio, oltre a ripercorrere con bella riuscita le orme di Olmi e Reitz, ha lampi da cinema russo, Muratova se non Tarkovski, ma nel finale rovina la compattezza dell’impianto, decisamente interessante e lodevole, con l’inutile discesa di Lucia in Sicilia.
Un film notevole ma da cui mi aspettavo una chiusa più potente, visto i prodromi, non la solita poesia costruita tipica del “giovane autore italiano”. (Voto 7-)
Nessun product placement.