EL GRAN CALAVERA – Luis Bunuel (1949)
Dopo aver girato per mezza Europa cercando di perorare la causa dell’esercito repubblicano contro l’avanzata di Franco durante la guerra civile spagnola, Bunuel, a dieci anni dalla realizzazione di l’’Age d’or’ e ‘Un chien andalou’, emigra a New York (1939) per poi approdare agli studios hollywoodiani dove gli viene affidato lavoro come traduttore delle versioni spagnole di film americani. In realtà, come dice lui stesso, passa un anno pagato senza fare praticamente nulla. L’anno gli serve però per avere contatti con il mondo del cinema “normale” e per cercare di reintrodursi nell’ambiente. Il suo scopo era quello di girare una versione cinematografica del testo teatrale dell’amico Federico Garcia Lorca (ucciso nel 1936 dai falangisti), “La casa di Bernarda Alba” in Messico, ma, una volta giunto nella nazione centroamericana, l’operazione non andrà in porto e al regista, ormai vicino ai cinquant’anni, praticamente in bolletta e con famiglia da mantenere, verrà proposto di lavorare ad una specie di western-musicale messicano, Gran Casino (1947) che non avrà però gran successo.
La svolta per il regista avviene dopo l’incontro con il produttore di tutti i film del ‘periodo messicano’ di Bunuel, Oscar Dancigers, con cui si accorda di girare un film “commerciale” per poterne poi realizzare uno da un suo progetto personale (che sarà il capolavoro “Los Olvidados”).
Il primo dei due film è proprio questo “El Gran Calavera”, tratto da un lavoro teatrale del famoso drammaturgo spagnolo Adolfo Torrado, i cui testi furono rappresentati con grande successo negli anni Trenta e Quaranta, e sceneggiato da uno dei futuri collaboratori più assidui di Bunel, Luis Alcoriza (in coppia con la moglie Janet). Il film, parole dello stesso Bunuel, gli serve da palestra per “imparare” a girare film “normali”.
La storia è incentrata su un ricco industriale che sta cadendo in disgrazia a causa del perenne stato di ubriachezza in cui si trova e per via dei parenti-serpenti da cui è circondato che lo prosciugano facendo la bella vita alle sue spalle (un fratello, una cognata e due figli).
L’arrivo di un terzo fratello, affermato medico in un’altra città, chiamato a salvare la situazione da un fedele impiegato dell’industriale, darà l’avvio ad un ribaltamento della condizione agiata della famiglia i cui componenti obbligati dal nuovo arrivato, approfittando dello stato comatoso del padrone di casa, si fingeranno poveri facendo credere di essere caduti in disgrazia.
Toccando con mano lo stato di povertà della gente comune e costretti a lavorare, impareranno l’umiltà, l’onestà e l’amore.
Commedia popolare con lieto fine romantico che inizia facendo incontrare la commedia di La Cava con quella di De Filippo per poi finire alla “Poveri ma belli” di Risi.
Bunuel ci mette poco di suo e si limita ad adattarsi correttamente al testo. Vi è però un’impennata qualitativa nel film in un bellissimo piano sequenza che inquadra il quartiere povero di una città messicana e che inizia con un primo piano su un pannello pubblicitario dedicato a ‘RIALTOS, El cigarro de la epoca’.
Il contrasto povertà-ricchezza è esplicato in un episodio in cui l’industriale (capita la situazione di finzione a cui lo costringono i parenti fa credere a tutti di aver subito una vera bancarotta) toglie le sue ‘LUCKY STRIKE’ dal pacchetto originale per trasferirle in uno delle più popolari ‘GARDENIA’ e ancora quando un vero popolano alla guida di uno scassatissimo furgoncino lo presenta come la sua CADILLAC.
Presenzia nel film anche un venditore ambulante di gelati ostentante la scritta TREBOL (Trifoglio), marca di cui oggi non riesco a trovare traccia.