Sta preoccupando il mondo la situazione interna americana e la spaccatura netta tra due schieramenti, quello democratico e quello trumpiano. L’odio, la rabbia, l’attacco a Capitol Hill, le parole offensive che si scambiano i due schieramenti. “La guerra civile nasce sempre dalla demonizzazione di un avversario politico” afferma Alex Garland e proprio lui, regista e sceneggiatore inglese (autore del libro The beach da cui il film di Danny Boyle e sceneggiatore di 28 giorni dopo, regista di Ex-machina e di Annientamento, quindi autore di genere fantascientifico problematico e apocalittico), ad immaginarsi in Civil war, suo ultimo film, un futuro prossimo in cui scoppia una guerra civile americana di portata disastrosa, con i ribelli dell’occidente che assaltano Washington per uccidere il presidente in carica. In mezzo a questo marasma di omicidi, torture, bombe e migliaia di cadaveri, si svolge il viaggio di due giornalisti e due fotoreporter (una è Kirsten Dunst che incarna Lee Smith, una navigata e famosa fotografa in zone di guerra, l’altra è “Priscilla” Cailee Spaeny che interpreta una sua giovane fan che vuole seguirne le orme) verso Washington per intervistare il presidente prima che venga raggiunto dai ribelli.
Il film è quindi un road movie che mette i protagonisti più volte di fronte alla morte e al rischio personale di perdere la loro vita nella follia della guerra. Fondamentalmente Garland agisce su tre livelli, quello fantapolitico che dice la sua sul rischio che potrebbe correre l’America e il mondo in caso di esasperazione ulteriore della situazione politica attuale; quello umanitario che mette in mostra gli orrori delle guerre (richiamando quindi anche quelle che in questo momento stanno facendo migliaia di morti) ammucchiando cadaveri in visioni sconvolgenti e gente assassinata a sangue freddo senza alcun senso; infine quello che vede coinvolti i protagonisti ovvero le dinamiche psicologiche e umane di queste persone che dedicano la loro vita a descrivere, con la scrittura o con la fotografia, i drammi del mondo (e che quindi non fanno parte della fantascienza ma potrebbero essere protagonisti in varie zone attuali del pianeta).
E’ questo l’argomento che ci pare interessi principalmente Garland dato che le due figure di Lee Smith e della giovane Jessie sono decisamente le protagoniste del film. Kirsten Dunst interpreta una persona ormai disillusa e cinica che di fronte agli orrori riesce a seppellire le proprie emozioni sotto un buon strato di indifferenza e tristezza, il suo viso senza trucco, che comincia a far vedere i guai dell’età e che ha perso la voglia di sorridere è una maschera che dice tutto del suo personaggio. Jessie invece è spavalda, energica, vogliosa di imparare ma non ha ancora il “pelo” per affrontare certe situazioni estreme e le sue emozioni le esterna eccome, vomitando, urlando, piangendo. Con l’avanzare del film però i due personaggi tendono a modificarsi, la Lee arriva ad un punto di quasi rottura, mentre Jessie impara fin troppo bene il “mestiere” e diventa sempre più simile alla maestra/madre.
Il film è molto bello, ben girato, non si censura nel mostrare gli orrori della guerra, riesce a restituire la condizione precaria e di pericolo dei “viaggiatori” in un paesaggio devastato e contemporaneamente a cogliere la desolazione psichica dei personaggi, con una colonna sonora strepitosa che da Alan Vega e i suoi Suicide attraversa lo swing-jazz di Geoffrey Gascoyne, la psichedelia elettronica dei Silver Apples e di Brice Davoli, il jazz rap dei De la Soul fino al metal dei Skid Row. (voto 7+)
La macchina fotografica di Jessie è una Nikon (decisamente il product placement più visibile), Ford, JC Penney, citazione di Wikipedia, Toyota e Coca Cola le altre marche.