Beau travail film del 1999 dell'amata Claire Denis è uno dei suoi più rarefatti e dei più belli visivamente. Sfruttando l'ambientazione nell'Africa desertica del piccolo stato di Gibuti e delle sue saline, residui oceanici, la regista ci dona un film bellissimo fatto di sensazioni e natura, durezza di sentimenti quanto asprezza di territorio.
E' un film sui legionari senza una vera storia. Un film praticamente muto in cui il senso dell'onore, il cameratismo franano di fronte all'invidia e alla sopraffazione dell'invidia e dell'odio.
Protagonista è il sergente Galoup (Denis Lavant) che da Parigi a cui è stato costretto a tornare "inadeguato alla vita ed inadeguato alla civiltà" ricorda e rimpiange il periodo in cui era legionario e agli ordini del comandante Bruno Forestier (Michel Subor) dettava legge nel suo reparto di soldati sperduti sotto il sole di Gibuti. All'arrivo del bello e vivo Gilles Sentain (Gregoire Colin), Galoup, provò un incontrollabile odio verso il nuovo fino a provocarlo e a farlo reagire. Colpito da un pugno, per vendetta Galoup costringe Sentain a seguirlo e lo lascia per punizione nel bel mezzo del deserto costringendolo ad un rientro ai limiti dell'impossibile... Galoup non tornerà più alla base e Forestier spedirà Galoup via dalla Legione e lo costringerà al rientro in Francia dove si ritroverà sperduto e solitario in una Parigi che gli è ormai estranea.
La diatriba tra i due uomini occupa una parte infinitesimale del film della Denis che è invece pieno di corpi nudi e sudati, esercizi ginnici, marce sotto il sole cocente o sferzati dalla sabbia alzata dal vento, senso di appartenenza macho, lotte a petto nudo e lunghe attese a rimirare il mare salato e la terra arida e crepata sperando di evitare la morte violenta. E poi le saline, il sale che corrode e prosciuga. Un "deserto dei tartari" portato ancora più all'estremo, in cui il racconto è ridotto ai minimi termini mentre la durezza della vita e la sua indispensabilità per le anime desensibilizzate dei legionari diventa preponderante, fisica quasi materica.
La regista osserva, si avvicina, piomba la macchina da presa tra mare e terreno e ci dona immagini poetiche con un unico inserto di delicatezza, di speranza, quello del bellissimo volto esotico di Marta Tafesse Kassa, una delicata donna dai tratti locali.
Un film ostico quanto stupendo. Per quelli a cui piacciono i film in cui il cinema l'ha vinta sulla letteratura.
Il product placement inizia alla chetichella con un cappellino dei New York Yankees ma poi va in crescendo con l'inquadratura in primo piano di due parallele pubblicità enormi di Coca Cola e Sprite. Poi birra Heineken e un adesivo inquadrato sicuramente non per caso della Marlboro.