Siamo nel 1963, sono due anni che la premiata ditta Friedman/Lewis produce film nudies che rendono eccome. Mentre Friedman vorrebbe continuare ad incassare producendo nudies, Lewis ha un’illuminazione, visto che anche nel cinema mainstream si comincia a trattare le tematiche sessuali con più libertà e che invece il cinema exploitation deve fare ciò che il cinema di Hollywood non può fare per restare in concorrenza, e decide di rifarsi al Grand Guignol francese per esplorare un nuovo cinema “estremo” non più sesso ma sangue… a litri. Gordon Herschell Lewis porta così sullo schermo le amputazioni e le lacerazioni rappresentandole graficamente con esplosione di un colore che invade gli spettatori: il rosso sangue. Nasce così il genere “gore”.
Si potrebbe anche fare un’analisi psicologica sugli istinti maschili che, prima attirati dalle forme femminili esibite e a disposizione per pochi dollari, frustrati dall’impossibilità di farsi amare e di avere per se tanta bellezza impudica, immaginano la lacerazione e l’annullamento del corpo femminile. Il passaggio mentale tra sesso e violenza è esemplare di una patologia della mente del maschio che, per fortuna, nel caso dei fan di Herschell Gordon Lewis trova scarico sullo schermo cinematografico e non nella vita reale.
Blood feast è un colpo allo stomaco, il regista decide che la pellicola abbia colori iperrealistici per poter far risaltare meglio il Barfred blood-like, la sostanza tuttora prodotta dalla Barfred Cosmetics di Miami ed usata per simulare il sangue. Ed è in questo schermo ipercolorato che la già vista (nella sua nudità integrale) in precedenti film del duo di creatori Sandy Sinclair si adagia nella vasca da bagno giusto coperta da qualche capriccio di schiuma. L’accattivante visione è subito disturbata dall’arrivo del serial killer Fuad Ramses interpretato da Mal Arnold (un Peter Lorre in versione casereccia) che, in una variante della scena della doccia di Psyco, prima toglie un occhio alla bella sventurata poi con impegno le stacca via a colpi di coltello una gamba! Immaginate lo schock del pubblico d’allora. Ma le nefandezze dell’assassino continuano, una ragazza in spiaggia viene “scalottata” per estrarne il cervello e ad una casalinga viene estratta a strappo la lingua. Per questa scena Gordon Lewis commentò (non senza compiacimento) riguardo ai giovani spettatori del film: “Questi scatenati stavano facendo casino, rompevano i seggiolini e tiravano oggetti allo schermo. Poi arrivò la scena della lingua. Tutto quello che potevi vedere adesso era un mucchio di bulbi oculari bianchi!”.
L’assassino è un fanatico dei rituali dell’antico Egitto ed in particolare della dea Ishtar di cui egli è convinto poter causare il risveglio raccattando membra umane femminili, cucinandole e dandole da mangiare (rispettando un rituale antico tramandato dai testi sacri egizi) al popolo. Per questo si fa in quattro a sezionare le sue vittime fino ad organizzare una cena in “perfetto stile egiziano” per cui si propone come cuoco. La cena si svolge in casa della Signora Freemont di cui la figlia Suzette (interpretata dalla playmate di giugno 1963 Connie Mason ingaggiata proprio per sfruttarne la fama estemporanea) rischia seriamente di diventare l’ennesima vittima di Ramses. Qui però interviene l’eroe del film (il solito Bill Kerwin aka Thomas Wood aka, nei nudies, Thomas Sweetwood), un agente innamorato di Suzette, che scopre l’assassino visitandone il covo in cui il corpo straziato ed ancora caldo di un’ennesima vittima si trova sul tavolo di tortura come prova inconfutabile. Fine degna per Ramses che inseguito si rifugia in un camion della nettezza urbana in cui finisce triturato facendo la fine “del rifiuto che era”.
La recensione di Variety è paradigmatica: “Un horror-shocker di totale inettitudine… Blood Feast (è) incredibilmente crudo e non-professionale dall’inizio alla fine, (e) un insulto anche al più puerile e gretto degli spettatori. Il fatto stesso che si stia prendendo sul serio rende la produzione di David F. Friedman ancora più ridicola… un fiasco in tutti i dipartimenti”.
Guardando al conto in banca e non ai commenti della critica Friedman e Lewis corrono a preparare un nuovo film gore…
(Le citazioni dell’articolo sono state prese da “A taste of blood, the film of Herschell Gordon Lewis. Christopher Wayne Curry, Creation Cinema Collection, Vol. 14. 1998”)
Product placement limitato alla radio iniziale che è una Zenith e a Safran, marca che svetta alle spalle di Ramses quanto è seduto al bancone del suo negozio.