KIBO NO KUNI - The Land of Hope (Shion Sono, Giappone, 2012)
Fra i film, decisamente belli, ed alcuni deliranti, ammirati al Torino Film Festival 2012, avevamo riposto delle buonissime speranze in Kibo no kuni - Land of Hope, l'ultima fatica del grande Shion Sono, uno dei maestri del cinema barocco, delirato, malato degli ultimi anni, autore di capolavori come Ai no mukidashi o Strange Circus, quello che aveva appena finito di dire che Takashi Miike si era paurosamente ammorbidito.
Bene le nostre speranze si sono improvvisamente scontrate con uno tsunami di dimensioni colossali.
Sembra che Shion Sono abbia dichiarato, così come ha detto Pier Maria Bocchi, durante la presentazione del film, che dopo il terremoto, lo tsunami e la centrale nucleare di Fukushima Da-ichi ogni giapponese (soprattutto chi, come lui, fa spettacolo) debba riflettere su quanto successo e cercare di essere utile. Si capisce subito che da un titolo così e da queste parole non può non aspettarci un mega polpettone di tre ore fatto di lutti e buoni sentimenti. Il lato oscuro di Shion Sono, cioè per noi quella metà melò che è sempre presente nei suoi film, nonostante completamente sommerso dalla perversione, si era ribellato ed aveva preso il sopravvento.
Kibo no kuni parte infatti dal terremoto che una famiglia assiste in cucina vicino al tavolo sul quale trema una scatola di te Lipton. Il terremoto passa, lo tsunami si sente e Fukushima è probabile, visto che la famiglia si trova proprio sul confine di quello che le autorità ritengono il primo raggio d'azione delle radiazioni e così si vedono il giardino attraversato da una barricata (a dire il vero facilmente superabile) con l'invito, da parte delle autorità di evacuare.
I due anziani genitori, lui legato alla terra e agli alberi piantati dai vari avi, lei con l'alzheimer, decidono di rimanere insieme al cane abbandonato dai vicini (e qui c'è anche l'altro dramma sommerso degli animali di Fukushima), il figlio parte con la moglie incinta che ha paura di trasmettere le radiazioni al figlio e comincia a dar di matto anche a lei. Intorno a loro altre realtà fra cui quella di due giovani che tentano di rientrare nella zona in quarantena sfuggendo alle forze dell'ordine.
In tutto questo product placement delle auto Yamaha, delle attrezzature Toshiba e dei vari alimentari autoctoni. Fra tutti tre casi particolarmente interessanti: la moglie con l'alzheimer continua a disegnare e a chiedere se è l'ora di andare. I pastelli sono i Mitsubishi polycolor e gli orologi i Seikosha. Non fa una buona figura la Eneos, al cui distributore i dipendenti si rifiutano di fare benzina ai profughi delle zone contaminate insultandoli.
Il film, comunque bello e poetico, finirà in alcuni casi male, mentre in altri non finirà, visto che le conseguenze di quanto è successo sono ancora presenti in Giappone.
Speriamo comunque che oltre a risollevarsi il paese, si risollevino anche i vari registi che in un modo o nell'altro hanno raccontato con i film il disastro (al momento il migliore risulta ancora River di Hiroki Ryuichi), ritornando ai generi per cui erano apprezzati in tutto il mondo.
Nel 2001 dopo l'undici settembre anche gli americani ebbero un piccolo sballamento verso i buoni sentimenti, ma durò poco. Hollywood capì subito che la gente aveva bisogno di eroi e cominciò così la rinascita di saghe su supereroi e spie che ha caratterizzato il cinema degli anni 2000.
Dai, Giappone, risorgi! Dopo la bomba atomica hai creato Godzilla!